Un decreto contro la democrazia: sicurezza o propaganda repressiva?

Il governo trasforma in decreto un disegno di legge già in discussione, aggirando il Parlamento e riscrivendo norme che allarmano per la loro impronta autoritaria. Una manovra pericolosa che mette a rischio il fragile equilibrio tra libertà e sicurezza.

(Tempo di lettura: 4 minuti)

C’è qualcosa di profondamente scorretto – e inquietante – nella scorciatoia scelta dal governo Meloni con il cosiddetto decreto Sicurezza. Ne abbiamo scritto qualche giorno fa.

Non è solo una questione di forma, ma di sostanza: si riscrive un disegno di legge già quasi approvato, lo si trasforma in decreto, lo si impone con voto di fiducia, e si neutralizza il Parlamento. Si chiama forzatura democratica. Si chiama verticalizzazione del potere. Si chiama pericolosa deriva autoritaria.

Sì, alcune delle norme più odiose sono state limate o depotenziate: le schedature etniche, l’arresto delle madri con figli piccoli, i superpoteri ai servizi segreti. Ma ciò che rimane è ugualmente grave. Il decreto è un compendio di paura e repressione: nuove aggravanti per chi manifesta, criminalizzazione delle proteste ambientali, pene più severe per occupazioni e disobbedienza passiva nelle carceri. Una stretta che parla non alla realtà, ma a un’ossessione securitaria costruita a tavolino.

L’urgenza? Una finzione. Nessun allarme sociale, nessuna emergenza reale. A denunciarlo è anche l’Associazione Nazionale Magistrati: questo provvedimento ha il solo scopo di fabbricare consenso tra chi invoca “ordine” e silenziare ogni forma di dissenso. Una manovra cinica, che regala a Salvini l’illusione di una vittoria (proprio alla vigilia del congresso della Lega) e a Meloni la possibilità di ricompattare una maggioranza litigiosa. Il tutto con l’avallo – tiepido ma significativo – del Quirinale.

Eppure, la Costituzione è chiara: i decreti legge devono essere strumenti eccezionali, motivati da “straordinaria necessità e urgenza”. Qui c’è solo urgenza politica. E la necessità è quella di evitare che le opposizioni possano intestarsi delle modifiche ragionevoli e condivise. Meglio blindare il testo, tagliare il dibattito e presentare la repressione come una risposta alla paura.

La democrazia, però, non vive di scorciatoie. Vive di discussione, confronto, mediazione. Saltare il Parlamento non è mai una soluzione neutra: è un modo per impoverire il dibattito pubblico e trasformare i cittadini in spettatori passivi. L’idea che i problemi complessi si risolvano a colpi di codice penale è illusoria e pericolosa. E nasconde un progetto più profondo: quello di una società chiusa, controllata, conformista.

Per questo è il momento di reagire. Non basta indignarsi. Bisogna raccontare, informare, denunciare. E costruire un’alternativa democratica che rimetta al centro i diritti, la giustizia, la partecipazione. Perché ogni stretta, se non contrastata, prepara la successiva. E la storia insegna che la libertà si perde un decreto alla volta.

Tags :

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Telegram

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ultimi articoli

Altri articoli