Saverio Costantino Amato: il poeta di Nocera

La vita breve e intensa di un giovane novelliere, tra famiglia, passioni letterarie e una morte prematura che spezzò un promettente futuro

Saverio Costantino Amato nacque da Costantino e Raffaella Guarna il 4 marzo 1816 in «un casale d’un villaggio d’una città della provincia di Salerno» come avrebbe detto lui stesso, più precisamente nel comune di Nocera Corpo, e morì nella città di Nocera il 9 novembre 1837 a causa dalla tubercolosi. Durante questo breve lasso di tempo ebbe modo di farsi apprezzare come poeta e novelliere. 

La casata degli Amato è una famiglia in vista della Nocera della fine del XVIII secolo. Il padre, Costantino, fu un importante membro della massoneria (sul finire del Settecento fondò e diresse a Nocera de’ Pagani la loggia de I Figli di Monte Albino); nel 1799 ricoprì il ruolo di segretario del Municipio. 

Costantino morì mentre il figlio era ancora in età tenerissima. Per questo motivo, Saverio Costantino fu allevato dalla madre. Rimasta vedova, Raffaella Guarna si trovò con la responsabilità, e il peso, di un figlio da crescere da sola. È certo che, per questo compito gravoso, cercò l’aiuto economico dei suoi benestanti parenti acquisiti. Al rifiuto del cognato (Pasquale) intentò una lunga battaglia legale che continuò anche dopo la morte del figlio. 

Saverio Costantino Amato si formò in questo clima familiare controverso. Se fu privilegiato dalle condizioni agiate del suo casato, che gli dovettero permettere di non lavorare, il suo animo sensibile dovette rimanere profondamente segnato dalle annose liti cui dovette assistere. Le scarne note biografiche riguardanti la sua infanzia lo dipingono come un ragazzo introverso e poco incline agli studi, nonostante le insistenze della madre (fino all’età di dieci anni sapeva a stento leggere). La svolta avvenne quando la Guarna gli propose le opere del Metastasio. «Allora – scrive Michele Baldacchini – il segreto del suo ingegno (ch’era agli altri e a se stesso un segreto) si rivelò». 

Da quel momento, si riversò con l’anima (forte) e il corpo (gracile) all’amore per la lettura, la scrittura, la storia e il teatro che traspare in tutta la sua opera. Per coltivare la sua nuova passione, l’Amato si trasferì a Napoli, dove cominciò a frequentare la scuola di Basilio Puoti, affermandosi, ogni giorno di più, come novelliere e poeta. 

La prima pubblicazione di un’opera dell’Amato risale al 12 settembre 1834. Il ragazzo, appena diciottenne, vide stampata, sulla rivista Il Veliero, la poesia In morte di F. G. Da quel momento fu un crescendo: cominciarono collaborazioni con: La Farfalla (27 marzo 1835); Ore solitarie (15 maggio 1835); L’Omnibus (29 agosto 1835); Il Globo areostatico (14 gennaio 1836), giornale che poi diverrà Il Globo; La Fama (4 marzo 1836); Le Violette (1836); La Sentinella (1836); L’Iride (1836).

Accantonando la sua timidezza, questo ragazzo dal bell’aspetto e dagli occhi scuri seppe dimenticare i problemi familiari entrando in un universo nuovo, fatto di fantasia e di studi. Nei suoi scritti, Saverio Costantino mise l’entusiasmo del conoscere e dello scoprire il mondo di un ragazzo curioso, dallo sguardo sensibile e dalla mente acuta, che, con la sua penna, correva tra Londra e Parigi, Roma e Napoli, Ascoli e Pisa, navigando attraverso i secoli e gli aneddoti accantonati nei vicoli della storia che amava resuscitare con acume e un pizzico di ironia.

L’Amato fu un attento osservatore della realtà. Le sue novelle sono pungenti, vive, sagaci, vere. Chi si aspetta il lieto fine ha sbagliato autore. Anzi, l’Amato gioca coi suoi lettori col suo stile sì pulito, ma sempre in bilico tra l’affabile e il canzonatorio. Se vi è un amore, un amato muore; chi chiede una grazia, rimane deluso. Vi è una religione, ma è la religione del reale e del progresso. Immagina un futuro che non avrà il tempo di vivere.

Dopo la sua prematura scomparsa, fu ricordato dai suoi numerosi amici che raccolsero quasi tutti i suoi scritti nel volume «Prose e versi di Saverio Costantino Amato», pubblicato a Napoli nel 1838. 

Tra i suoi più grandi ammiratori vi fu Francesco Mastriani, il più prolifico scrittore napoletano del XIX secolo, che lo ricorda in almeno cinque romanzi. Ma è tutta l’opera dell’Amato a catturare l’attenzione dei critici letterari della seconda metà dell’Ottocento. Su tutti, il fiorentino Carlo Catanzaro che lo considerò: «precursore della scuola verista» per le atmosfere della novella «Il campanaro di una parrocchia» (che fu anche plagiata).

Se la morte non avesse chiamato a sé questo ragazzo con tanta voracità, è molto probabile che oggi Nocera avrebbe potuto vantarsi di aver dato i proverbiali natali a uno dei più grandi scrittori del panorama italiano.

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