Da Capocasale a V Divisione Garibaldi, la memoria di un eroe dimenticato
La Resistenza italiana è stata animata da migliaia di storie di coraggio, sacrificio e speranza, tra cui spicca quella del giovane partigiano nocerino Salvatore Iannone, conosciuto dai suoi compagni con il nome di battaglia "Jenno". Nato a Nocera Inferiore il 2 gennaio 1924, figlio di Salvatore e Vincenza Petrosino, Salvatore era un bracciante agricolo residente a Capocasale. La sua breve vita si concluse tragicamente durante un'azione partigiana nell’agosto del 1944, lasciando una traccia indelebile nella memoria della Resistenza biellese.
Dalla Campania al Biellese: l'impegno nella lotta partigiana
Dopo l’8 settembre 1943, Salvatore si trovava a Biella come militare del 53° reggimento di fanteria. La disgregazione dell’esercito italiano seguita all’armistizio lo spinse a unirsi alla Resistenza. Entrò nella 75ª Brigata Garibaldi "Giuseppe Boggiani Alpino", inquadrata nella V Divisione Garibaldi "Piero Maffei", operante nel Biellese, un’area cruciale per l’attività partigiana nel Nord Italia. La 75ª Brigata, composta da uomini determinati a combattere contro l’occupazione nazifascista, aveva il compito di effettuare azioni di disturbo contro i presidi fascisti, favorendo le operazioni principali delle forze partigiane. Salvatore si distinse per il suo coraggio e la sua audacia, caratteristiche che gli valsero il rispetto e l’affetto dei compagni.
L’ultima missione e il sacrificio a Pralungo
Nella notte tra l’11 e il 12 agosto 1944, la 75ª Brigata Garibaldi attaccò un presidio delle Brigate Nere asserragliato nel palazzo comunale di Pralungo, un piccolo paese nei pressi di Biella. I fascisti avevano fortificato la struttura con mitragliatrici puntate sulla piazza principale e un faro che illuminava a giorno il campo d’azione, rendendo impossibile un assalto diretto. Salvatore, consapevole del rischio ma determinato a oscurare il faro per consentire l’avanzata dei compagni, uscì allo scoperto per colpirlo. Nonostante i suoi ripetuti tentativi, fu ferito gravemente da una raffica di mitragliatrice. I compagni tentarono di soccorrerlo, ma la potenza di fuoco nemica li costrinse a ritirarsi. Salvatore fu catturato dai fascisti e, secondo alcune testimonianze, torturato prima di essere fucilato. La sua morte, registrata con ritardo e confusione dalle autorità fasciste, rimane avvolta nel mistero. Non è chiaro se sia deceduto sul campo o successivamente in prigionia.
La memoria di un eroe dimenticato
Le spoglie di Salvatore furono rimpatriate a Nocera Inferiore nel 1947, ma restano incerte le circostanze della sua sepoltura. Una lettera dell’Ufficiale Sanitario di Nocera, risalente a quel periodo, lamentava il fatto che il corpo del partigiano giaceva ancora nella sala mortuaria.
La figura di Salvatore Iannone, come quella di altri partigiani, è rimasta a lungo ignorata nella sua città natale. Solo grazie agli sforzi di storici locali e appassionati come Rocco Vitolo, che hanno portato alla luce documenti e testimonianze, si è iniziato a ricostruire la vicenda di questo giovane eroe.
Il 25 aprile 2008, durante le celebrazioni per la Festa della Liberazione, una targa commemorativa fu inaugurata presso il Palazzo di Città per ricordare Salvatore Iannone, insieme ad altri partigiani locali come Lorenzo Fava e Antonio Tramontano. Questa iniziativa, promossa da associazioni culturali e istituzioni cittadine, sottolinea il legame indissolubile tra la comunità nocerina e i valori della Resistenza.
Un invito alla riflessione
La storia di Salvatore Iannone ci ricorda il contributo fondamentale dei partigiani nella lotta per la libertà e la democrazia in Italia. Da Nocera Inferiore al Biellese, il suo sacrificio testimonia come il desiderio di giustizia e la resistenza all’oppressione abbiano unito persone provenienti da realtà diverse in un’unica, straordinaria battaglia per la dignità umana.
Oggi, più che mai, è fondamentale preservare la memoria di figure come Salvatore, affinché il loro coraggio possa ispirare le nuove generazioni. Iniziative locali, come l’intitolazione di strade o piazze, potrebbero rendere giustizia al ricordo di questo giovane martire nocerino, rendendolo parte integrante del patrimonio storico e culturale della sua comunità.
di Salvatore Forte
Dal rione Piedimonte alla XI Divisione Garibaldi,
la storia di un eroe della Resistenza italiana che sacrificò la vita per la giustizia e la democrazia.
Antonio Tramontano, detto Totò è una figura di grande rilevanza nella storia della Resistenza italiana, il cui sacrificio incarna i valori di libertà, giustizia e lotta contro l’oppressione. Nato il 3 maggio 1922 a Nocera Inferiore, nel rione Piedimonte, da Tramontato Antonio (1878) e Bruno Immacolata, crebbe con l’etica del lavoro e il senso di appartenenza alla comunità. Di professione muratore, come molti giovani del Sud Italia del tempo, emigrò verso il Nord alla ricerca di opportunità lavorative.
L’impegno nella Resistenza - Durante la Seconda Guerra Mondiale, Antonio Tramontano si trovò nel Piemonte, un’area strategica per la Resistenza. La XI Divisione Garibaldi, 15ª Brigata "Saluzzo", cui si unì, era attiva nel cuneese, una delle regioni più importanti per il movimento partigiano italiano. Qui Tramontano si distinse per il suo coraggio e la sua determinazione. La Resistenza non era solo un movimento militare, ma anche un atto di ribellione morale contro le ingiustizie del regime fascista e l'occupazione nazista.
La cattura e il martirio - Nel settembre 1944, durante un’operazione a Castelletto di Busca, Tramontano e alcuni suoi compagni furono catturati dalle forze fasciste. Condotti a Cuneo, furono sottoposti a duri interrogatori e torture. Tramontano si distinse ancora una volta per la sua fermezza, rifiutandosi di fornire informazioni utili al nemico. La tragica fine arrivò il 26 novembre 1944. In rappresaglia per l'uccisione del maresciallo Bernabè, Tramontano fu portato al piazzale della stazione ferroviaria di Cuneo e fucilato insieme ad altri quattro partigiani: Maria Luisa Alessi, Pietro Fantone, Rocco Repice ed Ettore Garelli. La loro esecuzione rappresentò un atto di estrema crudeltà e una prova della brutalità del regime fascista.
La memoria di Antonio Tramontano - Il sacrificio di Antonio Tramontano non fu dimenticato. La città di Cuneo ha onorato la memoria dei cinque martiri con una lapide commemorativa nel luogo dell’esecuzione. La lapide, che reca i nomi dei partigiani, rappresenta un monito per le future generazioni affinché non dimentichino il prezzo della libertà.
Anche Nocera Inferiore ha reso omaggio al suo concittadino. Il 25 aprile 2008, durante le celebrazioni per la Festa della Liberazione, una targa commemorativa fu inaugurata presso il Palazzo di Città per ricordare Antonio Tramontano, insieme ad altri partigiani locali come Lorenzo Fava e Salvatore Iannone. Questa iniziativa, promossa da associazioni culturali e istituzioni cittadine, sottolinea il legame indissolubile tra la comunità nocerina e i valori della Resistenza.
L’eredità della Resistenza - La figura di Antonio Tramontano incarna il sacrificio di molti giovani italiani che hanno dato la vita per un ideale di libertà e giustizia. Il suo esempio continua a ispirare riflessioni sulla responsabilità civile e sull’importanza di opporsi a ogni forma di oppressione.
La memoria di Tramontano non è solo un tributo a un eroe della Resistenza, ma un invito a preservare e valorizzare i principi democratici conquistati grazie al sacrificio di uomini e donne come lui.
di Salvatore Forte
Le potenzialità di un Accordo per Valorizzare il Territorio e la Storia di Nocera
La storia di Nocera è ricca di episodi, personaggi e monumenti che meritano di essere raccontati e riscoperti. L'Associazione #CambiaMenti, da sempre impegnata nella valorizzazione culturale e sociale del nostro territorio, sta lavorando al progetto "Gocce di Memoria", un'iniziativa che punta a trasformare la nostra città in un museo all'aperto, grazie all'installazione di QR code presso i luoghi e i monumenti più significativi. Questi codici permetteranno a cittadini, turisti e sportivi di accedere in maniera immediata a informazioni sulla nostra storia, rendendo la memoria collettiva accessibile con un semplice clic.
In questo contesto, la Nocerina Calcio potrebbe giocare un ruolo fondamentale. La squadra, simbolo di appartenenza e orgoglio per tutti i nocerini, rappresenta un punto di riferimento identitario capace di unire generazioni diverse. Il coinvolgimento della Nocerina come testimonial del progetto "Gocce di Memoria" rappresenterebbe un'opportunità unica per amplificare il messaggio e rendere ancora più visibile l'iniziativa.
Una Maglia Speciale per Celebrare la Memoria
Una delle idee più affascinanti che #CambiaMenti vorrebbe proporre alla Nocerina Calcio è la realizzazione di una maglia speciale, a tiratura limitata, per sostenere il progetto "Gocce di Memoria". Questa maglia potrebbe essere utilizzata come veicolo di promozione per le iniziative culturali e sociali legate al progetto. In particolare, per il lancio dell'iniziativa, si è pensato a una maglia ispirata al celebre affresco della "Zuffa tra pompeiani e nocerini", un simbolo della nostra storia e dell'identità di Nuceria Alfaterna. L'affresco, che racconta un episodio emblematico del passato, potrebbe diventare il protagonista di una maglia che unisce sport e cultura, passato e presente. Indossare questa maglia significherebbe non solo sostenere la Nocerina, ma anche contribuire a preservare la memoria collettiva della nostra città, trasformando ogni partita in un'occasione per raccontare la nostra storia.
Sport, Cultura e Impegno Sociale: Un Circolo Virtuoso
Il potenziale accordo con la Nocerina Calcio potrebbe portare a molti benefici per l'intera comunità. La vendita delle maglie speciali a tiratura limitata non solo permetterebbe di raccogliere fondi per finanziare ulteriori iniziative culturali e sociali, ma contribuirebbe anche a sensibilizzare la cittadinanza sull'importanza della valorizzazione della nostra storia.
La maglia della Nocerina, con il suo valore iconico e il legame profondo con la città, diventerebbe un potente veicolo di comunicazione e di coinvolgimento, capace di raggiungere tutte le generazioni di tifosi e cittadini. Inoltre, coinvolgere la Nocerina in questo progetto potrebbe aprire nuove prospettive di collaborazione anche con le amministrazioni comunali, rafforzando il legame tra sport, cultura e territorio.
Un Futuro di Sinergie per la Crescita della Comunità
Immaginare una Nocera in cui la Nocerina Calcio non è solo una squadra, ma anche un testimonial privilegiato della storia e della cultura del territorio, è un sogno che possiamo realizzare insieme. Un accordo con la società calcistica potrebbe dare vita a una sinergia capace di dimostrare concretamente l'impegno verso la crescita culturale e sociale della nostra città, portando benefici tangibili sia alla comunità che alla squadra stessa.
Siamo pronti a discutere le modalità di collaborazione e i possibili benefici per la Nocerina, confidando che questo progetto possa rappresentare un passo importante per unire ancora di più la squadra al territorio, attraverso un percorso di valorizzazione storica e di coinvolgimento attivo. Restiamo fiduciosi che la passione e l'orgoglio per la nostra città possano essere il motore per costruire insieme un futuro ricco di memoria e di partecipazione.
CambiaMenti esprime soddisfazione per la decisione della Corte Costituzionale
sull’autonomia differenziata, nonostante il referendum potrebbe essere a rischio
L’associazione CambiaMenti, componente del Comitato Referendum contro l'Autonomia Differenziata di Nocera Inferiore, accoglie con soddisfazione la sentenza della Corte Costituzionale che ha parzialmente accolto il ricorso contro la legge sull’autonomia differenziata di alcune regioni a statuto ordinario, tra queste la Campania. Non siamo sorpresi, la Corte ha infatti sancito l’illegittimità di specifiche disposizioni della legge, difendendo principi fondanti quali l’unità della Repubblica, la solidarietà tra le regioni e l’eguaglianza dei diritti.
Sottolineiamo l’importanza dei punti dichiarati incostituzionali, che prevedevano il trasferimento indiscriminato di competenze senza una chiara giustificazione basata sul principio di sussidiarietà e senza adeguati criteri per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Decisioni cruciali sui diritti civili e sociali non possono essere delegate senza il coinvolgimento del Parlamento e senza rispettare le garanzie costituzionali.
La Corte ha anche ribadito che l'autonomia differenziata non deve essere una concessione a regioni inefficienti ma deve mirare a una maggiore efficienza e responsabilità, con risorse assegnate in base a fabbisogni standard e criteri di efficienza.
Ora spetta al Parlamento il compito di colmare i vuoti normativi e garantire che la legge, nel rispetto della Costituzione, promuova il bene comune e tuteli i diritti dei cittadini su tutto il territorio nazionale.
Nonostante il referendum potrebbe essere a rischio (attendiamo di leggere le motivazioni tra due settimane), noi continueremo insieme ai partiti, ai movimenti e alle associazioni che fanno parte del Comitato Referendum e con i due milioni di italiani che con la loro firma si sono espressi chiaramente contro l’autonomia differenziata contro questo disegno di legge scellerato e secessionista.
Esempio di dedizione e coraggio nella lotta per la libertà durante la Resistenza italiana | di Salvatore Forte
Lorenzo Fava nacque il 20 maggio 1919 a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno. La sua famiglia, originaria del Polesine, si trasferì a Lendinara, dove Lorenzo completò gli studi medi. Successivamente, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Padova.
Nel gennaio 1941, rinunciando ai benefici del ritardo della prestazione del servizio militare, si arruolò volontario nel 7º Reggimento Alpini a Belluno. Dopo un periodo alla Scuola Centrale di Alpinismo ad Aosta, fu ammesso alla Scuola Allievi Ufficiali di Bassano del Grappa, da cui uscì con il grado di sottotenente nel marzo 1942. Fu quindi assegnato al 3º Reggimento Alpini mobilitato, dislocato in Montenegro, dove partecipò a operazioni di guerriglia. Il 5 maggio 1942, durante la conquista di quota 852 a Miksie, si distinse per il suo coraggio, guadagnandosi la Croce di Guerra al Valor Militare.
Rimpatriato nel 1943, si trovava in licenza quando fu annunciato l'armistizio dell'8 settembre. Senza esitazione, si unì alle prime formazioni partigiane nel Veneto, entrando successivamente nei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) di Verona. Qui partecipò a numerose azioni audaci, tra cui sabotaggi lungo la linea ferroviaria Verona-Brennero, l'installazione di ordigni esplosivi in vetrine di propaganda fascista in via Mazzini e il sabotaggio dell'impianto telefonico in Valdonega.
Il 17 luglio 1944, Fava prese parte all'assalto del carcere degli Scalzi a Verona, dove era detenuto da sette mesi il dirigente sindacale Giovanni Roveda. L'operazione riuscì e Roveda fu liberato, ma Fava rimase gravemente ferito e fu catturato dai fascisti. Nonostante le torture subite, rifiutò di rivelare informazioni sui compagni e sulle basi partigiane. Secondo alcune fonti, fu ucciso il 23 agosto 1944, quando il suo corpo fu trovato nel recinto di Forte Procolo a Verona.
Dopo la Liberazione, l'Università di Padova gli conferì la laurea "ad honorem" in Giurisprudenza. Alla sua memoria fu assegnata la Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
«Entrato fra i primi nel movimento partigiano, servì la Causa con intelligenza, coraggio ed abnegazione. Profondo nel pensiero, quanto audace nell’azione, ideò e portò a termine numerosi colpi di mano ed atti di sabotaggio. Gravemente ferito durante l’attacco alle carceri di Verona per la liberazione di un noto prigioniero politico colà detenuto, fu catturato e sottoposto alle più crudeli torture che non valsero a piegarlo. Gli stessi nemici rimasero stupefatti di tanta forza morale, ma il loro odio ebbe il sopravvento sull’ammirazione e decisero di sopprimerlo. Fu segretamente trucidato e la sua sublime morte fa di lui la più luminosa figura del movimento partigiano veronese.»
In suo onore, diverse città italiane gli hanno dedicato vie e lapidi commemorative, tra cui Verona e Lendinara. A Nocera Inferiore, all'ingresso del palazzo di città, il 25 aprile del 2008 è stata affissa una targa in memoria di Lorenzo Fava e altri due partigiani nocerini caduti sul campo: Antonio Tramontano e Salvatore Iannone.
A Verona, una lapide in via Scalzi ricorda l'assalto al carcere e il sacrificio di Lorenzo Fava e Danilo Preto. Inoltre, una scuola secondaria di primo grado nel quartiere di Porto San Pancrazio porta il suo nome.
La sua vita e il suo sacrificio rappresentano un esempio luminoso di dedizione e coraggio nella lotta per la libertà durante la Resistenza italiana.
Salvatore Forte
La tragica vicenda politica e umana del primo sindaco socialista di Nocera | di Angelo Verrillo
La storia delle nostre comunità custodisce le radici del nostro presente. Quando perdiamo la memoria del nostro passato, quelle radici vengono recise ed avviene, inevitabilmente,
che le foglie del nostro presente ingialliscono e deperiscono.
A Nocera, ad esempio, sono in pochi quelli che sanno di Giuseppe Vicedomini. Eppure, stiamo parlando del più importante dirigente del movimento operaio della prima metà del
secolo scorso. Senza temere di essere smentiti, potremmo dire che tutti quelli che si dicono semplicemente “di sinistra” sono figli di una storia cominciata con Vicedomini.
Nato nel 1879, Vicedomini, nonostante sia membro di una famiglia modesta (il padre era un artigiano falegname “bottaio”), frequenta la scuola fino al ginnasio presso il seminario vescovile. Quando, poco più che ragazzo, si rende conto di non avere alcuna vocazione sacerdotale, lascia il seminario, interrompe gli studi e si arruola volontario nell’82° Fanteria, di stanza proprio a Nocera, dove vi presta servizio per 30 mesi.
Dopo il congedo, si dedica anima e corpo al lavoro politico e sindacale. Inizia organizzando la lega dei “pastai e mugnai”, poi quella dei “cestai”, infine quella dei “tessili” dello stabilimento Aselmejer che poi diventerà MCM. Nel 1902, l’anno del primo, epico sciopero dei mulini e pastifici, fonda la Camera del Lavoro a Nocera Inferiore.
Negli stessi anni Vicedomini apre anche la prima sezione del Partito Socialista in Città, organizza e dirige gli scioperi dei pastai e mugnai del 1903 e del 1906 e lavora di concerto
con la direzione del Partito di Napoli, oltre che con le Camere del Lavoro di Napoli, Scafati, Torre Annunziata e Salerno.
Nel 1908, fonda “La Favilla”, periodico cittadino socialista, che verrà pubblicato fino al 1912, rompendo il monopolio della stampa locale “liberale”. Dopo di allora, un altro
periodico di sinistra a Nocera vedrà la luce solo all’inizio degli anni settanta per iniziativa di Goffredo Locatelli, recentemente scomparso, con il nome l’Espresso del Sud.
Nel 1909, dopo aver intrapreso l’opera di sindacalizzazione del “proletariato agricolo” si reca in Inghilterra per stipulare contratti commerciali per i suoi iscritti contadini, allo scopo di eliminare il taglieggiamento degli intermediari commerciali agricoli. Per questo, Vicedomini viene a volte definito “rappresentante di commercio”.
Dal 1912 al 1914, per incarico della Direzione del Partito Socialista, dirige le Camere del Lavoro di Mirandola, Ancona e Ferrara ed è proprio a quel periodo che si fa risalire la sua
conoscenza e frequentazione con Benito Mussolini.
Rientrato a Nocera, nel primo dopoguerra abbandona la corrente del sindacalismo rivoluzionario e si avvicina alla corrente riformista del Partito Socialista.
Dopo le elezioni del novembre 1920 Vicedomini, che capeggia la lista socialista, viene eletto Sindaco della Città di Nocera Inferiore. Il successo dei socialisti viene facilitato dalla
divisione interna allo schieramento liberale che vedeva contrapporsi Dentice, liberale conservatore e Guerritore, che aderisce alla Democrazia Liberale di Giovanni Amendola.
Dopo la sua elezione, Vicedomini instaura una politica di forte sostegno alla parte della popolazione più indigente. Ben presto, però, anche a Nocera arriva la violenza dello squadrismo fascista: nel 1921 viene assaltata e devastata la Camera del Lavoro: A compiere quell’assalto, secondo il racconto che ne faceva mio nonno, furono un centinaio di camicie nere napoletane, capeggiate da Aurelio Padovano.
Il clima di violenza crescente (che non risparmia neppure il Circolo Casollese, costretto alla chiusura perché frequentato da elementi “sovversivi”) insieme alle pressioni sempre più insistenti della Prefettura, costringono Vicedomini a rassegnare le dimissioni da Sindaco nell’ottobre del 1922. Dopo la marcia su Roma, l’oramai ex Sindaco si allontana da Nocera ed entra in clandestinità. Al suo posto, nel marzo del 1923, viene eletto l’Avv. Attilio Barbarulo, che era stato suo Vice Sindaco, sarà tra i fondatori del Partito Nazionale Fascista a Nocera e, dal 1932 al 1937, ricoprirà la carica di Podestà della città.
Purtroppo, non è possibile ricostruire i quattro anni durante i quali Vicedomini visse in clandestinità. Tuttavia, non è difficile immaginare gli stenti e le privazioni di un uomo costretto a scappare e nascondersi insieme alla sua famiglia, che comprendeva, oltre alla moglie, Teresa Marino, ben otto figli.
Molto probabilmente, Vicedomini, almeno per qualche anno trovò rifugio in Spagna. Me ne sono convinto perché a Barcellona risultava risiedere il figlio Raffaele, che nel 1922 aveva appena sedici anni e non poteva certo esserci arrivato da solo.
Nel 1926, Vicedomini viene condannato in contumacia a due anni di confino e, dopo l’accoglimento di un suo ricorso contro quel provvedimento, rientra a Nocera astenendosi, da quel momento, da qualsiasi ulteriore iniziativa politica. Il figlio Raffaele, comunista, resta a Barcellona e rientra in Italia nel 1928 per svolgere il servizio di leva. Dopo il congedo, nel 1930, Raffele torna in Spagna e, dopo l’insurrezione franchista, si arruola nell’esercito repubblicano, nelle cui fila combatte nel 1937 sul fronte di Tardienta, ricevendo anche una promozione al grado di capitano “per merito di guerra”.
Durante il fascismo, l’unica notizia dell’ex Sindaco risale agli inizi degli anni trenta, quando il Podestà lo incaricò di tenere una serie di conferenze sulla storia locale. Molto probabilmente quel Podestà era Attilio Barbarulo che, con quell’incarico, cercava di dare un aiuto economico al suo vecchio Sindaco. Tuttavia, la milizia fascista, con la scusa che il programma di quelle conferenze prevedeva anche la partecipazione di operai non iscritti al PNF, fece in modo che l’iniziativa non avesse mai luogo.
Nel 1944, Giuseppe Vicedomini, essendo l’ultimo Sindaco eletto democraticamente, venne reinsediato al Comune dagli alleati con l’incarico di Sindaco Straordinario. Si dimise definitivamente nel 1946, anche a causa delle volgari polemiche che lo coinvolsero e che, in buona sostanza, gli contestavano non solo di non essersi fatto ammazzare, ma anche di non aver trascorso qualche decennio in carcere o al confino.
Così uscì di scena, a 67 anni, il primo Sindaco Socialista di Nocera Inferiore
Ricordiamo la sua storia, ricordiamo i nostri valori
Il prossimo 4 novembre si celebrerà il Giorno dell'Unità Nazionale e la Giornata delle Forze Armate, una ricorrenza fondamentale per riaffermare i valori di coesione e solidarietà nazionale e per rinnovare il ricordo del sacrificio nella difesa della patria e dei valori democratici di tanti italiani.
In un momento storico segnato da conflitti internazionali devastanti, da un clima politico interno sempre più divisivo e autoritario, è quanto mai importante recuperare le storie di chi ha creduto veramente e fino alla fine nella libertà e nell’unità della nostra Patria, come Antonio Cianciullo.
CambiaMenti, con il progetto “Gocce di Memoria,” vuole illuminare le vite di concittadini nocerini che hanno incarnato questi valori, troppo spesso dimenticati o lasciati sullo sfondo della memoria collettiva. Oggi, per questo nostro secondo approfondimento, vogliamo raccontare la storia di Antonio Cianciullo, un giovane ufficiale nocerino che ha scelto il sacrificio e la resistenza a Cefalonia, dando un esempio di eroismo e straordinaria lealtà alla patria.
Chi era Antonio Cianciullo?
Antonio Cianciullo nasce a Napoli il 5 giugno 1913, primo di dieci figli, dopo il diploma di liceo classico, decide di proseguire gli studi in Economia e Commercio presso l'Università di Napoli. Con il desiderio di costruire qualcosa di significativo, si trasferisce a Massaua, in Africa Orientale, dove fonda una piccola agenzia di spedizioni. È una scelta che rivela il suo carattere intraprendente e determinato, ma anche il suo spirito di avventura e libertà. Tuttavia, nel 1940, con l’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, viene richiamato alle armi. Inizia così una nuova fase della sua vita, che lo porterà a servire il Paese con dedizione, fino all’ultimo respiro.
L'eroismo di Antonio Cianciullo nella battaglia finale
La resistenza a Cefalonia fu violenta e brutale, con i tedeschi determinati a schiacciare ogni tentativo di opposizione. Antonio Cianciullo, a capo della sua compagnia, si distingue in prima linea per il coraggio e il sacrificio. Si espone al pericolo senza esitazione, manovrando personalmente le mitragliatrici, incoraggiando i suoi uomini e fronteggiando i nazisti anche quando le speranze di vittoria diventano esigue. Quando le munizioni e le risorse cominciano a scarseggiare, rifiuta comunque di ritirarsi, preferendo sacrificarsi pur di coprire la ritirata dei suoi compagni. Questo gesto eroico gli vale la Medaglia d’Oro al Valor Militare, conferita con una motivazione che sottolinea il suo estremo coraggio e la dedizione alla patria:
“Comandante di compagnia mitraglieri di Corpo d’Armata fu tra i primi decisi assertori della lotta contro i tedeschi. Combatté strenuamente in prima linea con audace ardimento e supremo sprezzo del pericolo tanto da suscitare l’ammirazione dei reparti che vicino a lui combatterono. Ripetutamente, di iniziativa, accorreva con le sue armi in appoggio ai reparti impegnati e stremati dalla violenza dei bombardamenti aerei. Accerchiato il battaglione con il quale operava, sebbene invitato ad arrendersi, preferiva la difesa ad oltranza e mentre passava da un’arma all’altra, incoraggiava i suoi mitraglieri, impressionati dalle enormi perdite; manovrando egli stesso le armi rimaste prive di serventi, immolava la sua giovane vita con la visione di quanto ebbe più caro: la Patria.”
Antonio Cianciullo e tanti altri suoi commilitoni persero la vita in quella strenua resistenza. Ma il loro sacrificio non fu vano: rappresenta ancora oggi l'essenza della fedeltà ai valori di libertà e solidarietà, che non dovrebbero mai essere dimenticati.
Un’eredità poco conosciuta e l’importanza di una lapide commemorativa
Nonostante una delle piazze principali di Nocera Inferiore porti il nome di Antonio Cianciullo, pochi, soprattutto tra i giovani che frequentano le scuole che insistono in quella piazza, conoscono davvero la sua storia e il significato della sua scelta di resistere fino alla morte. Anche un altro nocerino, Luciano Gambardella, cadde nella stessa battaglia a Cefalonia, ricordato anch’egli da una strada intitolata in suo onore.
Sarebbe importante, come comunità, rendere omaggio alla memoria di questi due eroi, magari apponendo una lapide commemorativa che celebri il loro sacrificio, come segno tangibile della loro eredità e per fare in modo che le generazioni future possano comprenderne il valore.
A loro insieme a quanti, associazioni e cittadini appassionati di storia locale, ci hanno manifestato la volontà a contribuire al progetto “Gocce di Memorie”, dedicheremo maggiori energie e maggiore attenzione.
Gocce di Memoria: ricordare il passato per costruire il futuro
Questo e gli altri approfondimenti che verranno, sono parte del progetto “Gocce di Memoria”, nato all'interno della nostra associazione CambiaMenti ma aperto al contributo di tutti (scuole, associazioni, cittadini, studenti, etc) per riscoprire e valorizzare la memoria delle due Nocera, illuminando le vite di concittadini che hanno fatto la storia. Antonio Cianciullo e Luciano Gambardella rappresentano i valori di cui abbiamo oggi più bisogno: il coraggio, la lealtà e la capacità di sacrificarsi per il bene comune.
Raccontare le loro storie e farle conoscere ai giovani è il nostro modo di riaffermare che l’unità nazionale e la libertà non sono solo parole, ma ideali concreti e vissuti che dobbiamo preservare e tramandare. In un contesto in cui vediamo spesso valori come la solidarietà e la coesione messi in secondo piano, ricordare queste figure può ispirare le nuove generazioni e noi stessi a sentirsi parte di una comunità più ampia e a prendersi cura dei valori fondanti della nostra società.
di Salvatore Forte
Riscoprire il passato per costruire il futuro: il valore della memoria collettiva come fondamento della nostra identità
di Gianciarlo Di Serio
La memoria, è un bene prezioso, va curata e coltivata. Se la memoria individuale forma i nostri ricordi più intimi, ci insegna a evitare gli errori che abbiamo già commesso, la Memoria collettiva costituisce molto più del ricordo individuale, custodisce la ricchezza e la forza di una intera comunità. Il valore della Memoria è dunque un bene prezioso: non a caso i nostri avi prevedevano la condanna alla “damnatio memoriae”, l’umiliazione massima per un personaggio pubblico, la cancellazione di ogni traccia del suo passaggio nella società.
Lo sviluppo di nuovi media e di disparate forme di comunicazione, la telecamera che ognuno di noi oramai porta nella tasca della giacca o nella borsa aiuta il consolidamento dei ricordi personali, ma rischia di amplificare il processo di “liquidazione” della società che è nemico della Memoria storica.
Una comunità senza Memoria è una comunità destinata a perdere il senso civico, a deperire. La Memoria vive anche dentro ai simboli: statue, luoghi, strade e piazze. Questi simboli vanno però spiegati, raccontati, soprattutto a chi non li ha vissuti o studiati. Il racconto del passato di una città, lungi dal creare miti o leggende, deve dipanarsi attraverso un rigoroso processo di ricerca che restituisca all’intera comunità la sua Memoria.
Ogni giorno percorriamo strade cittadine intitolate a uomini e donne che hanno illustrato il nostro passato ma di cui non consociamo nulla. Raccontare di loro, spiegare quello che hanno fatto, aiuterà la nostra comunità a prendere maggiore consapevolezza di sé, e ci spronerà a essere all’altezza del nostro passato.
“Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro” ha scritto il cileno Luis Sepùlveda. E’ la convinzione che ha spinto CambiaMenti a lanciare “Gocce di Memoria” ambizioso progetto che vuole coinvolgere i cittadini che vorranno a costruire assieme questo grande racconto della nostra Memoria. Lo facciamo per noi contemporanei ma soprattutto per chi verrà dopo di noi: qualsiasi sia il futuro che attende la nostra comunità non si potrà mai fare a meno di capire chi siamo stati per decidere dove vogliamo andare.
“Gocce di memoria” recuperare e valorizzare la memoria storica locale delle due Nocera
L’Associazione #CambiaMenti presenterà nelle prossime settimane il progetto “Gocce di memoria”, iniziativa ambiziosa e innovativa che ha come obiettivo: recuperare e valorizzare la memoria storica locale delle due Nocera, creando un’unica comunità, consapevole e orgogliosa della propria storia, che dialoga con i propri cittadini e visitatori tramite un sistema integrato di QR code.
Un viaggio nella storia attraverso la tecnologia L’idea alla base del progetto è quella di installare QR code presso strade, piazze, monumenti ed edifici storici, fornendo informazioni multilingua accessibili con un semplice clic. Attraverso testi, immagini e video interattivi, sarà possibile scoprire la storia di un sito archeologico, l’autore degli affreschi di quella chiesa e, soprattutto, le vite e le imprese di tanti nocerini che hanno lasciato un segno nella storia locale e nazionale. Questa esperienza permetterà di riscoprire figure spesso dimenticate e di rendere la storia fruibile e interessante, soprattutto per le nuove generazioni.
Il primo approfondimento: Prisco Palumbo, giovane poliziotto nocerino vittima del terrorismo nel 1976, a cui è stata intitolata una strada nel comune di Nocera Inferiore. Alla sua storia, raccontata troppo poco negli ultimi anni, abbiamo dedicato un primo articolo a firma di Giancarlo Di Serio (www.cambiamenti.online/prisco-palumbo ) che, insieme a testimonianze, documenti e fonti, popolerà la prima scheda dell’ambizioso e corposo archivio in progetto. Il sacrificio di Palumbo è simbolo di una memoria che non deve sbiadirsi, e il nostro progetto si propone di onorare la sua vita e il suo impegno raccontandolo anche alle nuove generazioni.
Collaborazioni e impatto sociale Il progetto, che si avvarrà della collaborazione delle scuole, istituzioni culturali, imprese locali e dei cittadini che singolarmente, o in forma associate, vorranno aderire, ha l’obiettivo di stimolare l’interesse verso la storia della città e promuovere un maggiore senso di appartenenza, di orgoglio nocerino. Attraverso l’utilizzo dei QR code, Nocera si aprirà ad un dialogo costante tra passato e presente, facendo della tecnologia uno strumento per valorizzare la nostra memoria comune.
Solo una Nocera più consapevole del suo passato può essere capace di affrontare le sfide del futuro con una nuova prospettiva.
La memoria del giovane poliziotto nocerino vittima del terrorismo, rischia di sbiadirsi nel tempo:
un richiamo a onorare il suo sacrificio e a raccontarlo alle nuove generazioni.
di Giancarlo Di Serio
Nel 1976 il viaggio in treno da Milano a Roma può durare fino a dieci ore. Quel 14 dicembre è martedì e Filomena sta facendo quel viaggio che le sembra durare, in realtà, dieci anni. Filomena ha 21 anni, è di Nocera ma da un anno, col marito, si è trasferita nella città lombarda, come hanno fatto tanti altri meridionali – perché questa è una storia molto meridionale - dove ha avviato un’attività commerciale. C’è solo l’angoscia ad accompagnarla: da poche ore ha saputo, nel modo più brutale – attraverso il notiziario televisivo del primo pomeriggio - che suo fratello Prisco, di tre anni più grande, agente della Polizia di Stato, è stato assassinato nella Capitale nel corso di un attentato terroristico. A Roma, in piena notte, Filomena si ricongiunge con mamma Ida e papà Fioravante, nel frattempo giunti da Nocera: per loro nulla sarà più come prima.
Prisco e Filomena sono legatissimi. Vivono i primi anni di vita a Grotti e poi si trasferiscono a Casolla dove sono sorte le nuove case frutto del piano di edilizia popolare che sta contribuendo a ricostruire le città italiane distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale. Con il papà autista e la mamma impegnata nelle fabbriche conserviere, ricchezza della Nocera anni ’50 e ‘60, i due ragazzi trascorrono da soli intere giornate, tra la scuola, i giochi, gli amici, e le vacanze, se così si possono definire, nella campagna della nonna a irrigare campi. Una famiglia dalle solide radici nocerine come testimonia anche il nome del primogenito, Prisco appunto, e dai rigorosi principi tipici della cultura contadina meridionale.
A Prisco, ragazzone di un metro e ottanta, biondo, quella vita inizia però a stare un po’ stretta: ha lavorato in campagna e poi in fabbrica ma la sua legittima aspirazione è migliorare la posizione sociale. Inizia a fare domanda nelle forze dell’ordine: Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato; viene scelto dalla Polizia e lì si arruola con entusiasmo. A nemmeno 19 anni è a Trieste per il corso di addestramento e poi in giro tra vari commissariati della Penisola fin quando non viene assegnato a Roma con un compito molto particolare. Prisco ha superato il corso per la guida veloce e così gli viene affidato l’incarico di guidare l’auto assegnata al vicequestore Alfonso Noce, responsabile per il Lazio del nucleo antiterrorismo: praticamente un bersaglio mobile.
Quelli sono anni difficilissimi per la giovane e fragile democrazia italiana, gli anni che un grande maestro del giornalismo, Sergio Zavoli, definirà La notte della Repubblica. Anni di bombe, di attentati, di stragi: anni di piombo. La mattina del 14 dicembre 1976 Prisco è seduto al posto di guida dell’autovettura sotto casa del dottore Noce in attesa che l’altro collega della scorta e il vicequestore si accomodino in auto per ripartire. La macchina però non ripartirà: da un furgone, parcheggiato lì da alcuni giorni contromano, escono tre terroristi che iniziano a mitragliare l’autovettura: Prisco è il primo a essere colpito e l’unico dei tre a morire.
Il dottore Noce e l’altro poliziotto vengono feriti, mentre a terra rimane anche uno degli assalitori colpito dall’arma di un suo compagno.
Anche i terroristi sono meridionali, fanno parte dei N.A.P., Nuclei Armati per il Proletariato, gruppo minore della galassia terroristica di estrema sinistra ma ugualmente feroce. Per Prisco ci saranno funerali di Stato a Roma e poi quelli a Nocera dove, nella chiesa del Corpo di Cristo, partecipa una folla impressionante proveniente da tutta la Regione. Per gli assassini, poi individuati, seguirà invece un processo e le relative condanne.
“Quel giorno non è stato ucciso solo Prisco, ma un’intera famiglia” ci dice Filomena, tornata col marito a Nocera, dopo una vita trascorsa a Milano, nella stessa casa dove hanno vissuto i genitori e dove Prisco tornava nei periodi di licenza dal servizio. “Ogni volta che doveva ripartire per Roma, al momento del saluto, si segnava col segno della Croce” – ricorda ancora Filomena - “consapevole probabilmente dei rischi che il suo lavoro comportava. Fu così anche quel lunedì che ha preceduto l’irreparabile”. I genitori di Prisco e Filomena sono morti dopo pochissimi anni dalla tragedia, a un mese di distanza l’uno dall’altra, e questo chiarisce il senso delle sue parole.
A casa di Filomena oltre alle foto del fratello, c’è in soggiorno anche il cappello della divisa che era stato posto sulla bara. “Ho partecipato nel corso degli anni a molte manifestazioni in ricordo di Prisco, a Roma, a Milano, a Salerno. In un’occasione, diversi anni dopo, ho voluto vedere i luoghi dell’attentato, sono stata a casa del dottore Noce e della sua famiglia di cui mio fratello mi parlava benissimo. Il presidente Ciampi lo ha insignito nel 2004 della Medaglia d’oro al merito civile” – ricorda Filomena – “ma gli anni passano e anche le commemorazioni in sua memoria si fanno sempre più stanche”.
Il dolore per le vittime di terrorismo, soprattutto se non si tratta di personaggi illustri – politici, magistrati, giornalisti - rischia col tempo di appartenere soltanto alla ristretta cerchia dei familiari. Sono passati 48 anni da quando un figlio della nostra terra, un ragazzo che si era messo al servizio dello Stato e che aspirava a una vita normalissima, a sposarsi, mettere su famiglia, è finito stritolato dagli ingranaggi della Grande Storia incontrata in un’anonima strada di Roma.
A Nocera c’è una via, per la verità un po’ secondaria, intitolata a Prisco Palumbo ma non c’è, per esempio, una scuola che porti il suo nome (una è intitolata ad un’altra vittima del terrorismo, Ilaria Alpi). Un grande monumento funebre, eretto a spese della famiglia, c’è all’ingresso del Cimitero cittadino. La prossima volta che andremo in quel luogo, fermiamoci a leggere la lapide, a ripensare a questo nostro giovane conterraneo il cui sacrificio va raccontato soprattutto ai ragazzi e la cui memoria a Nocera, nella sua città, è giunto il tempo di onorare al meglio
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