Magistrati vs Politici: uno scontro che non esiste (ma che fa comodo a qualcuno)

Tra accuse, polemiche e giochi di potere, la verità è semplice: lo Stato di diritto non è un optional. E i giudici non sono il nemico.

Sembra di essere tornati indietro nel tempo, a venti o trent’anni fa, quando i giornali erano pieni di storie sullo “scontro tra governo e magistrati”. I partiti di destra non facevano che accusare i giudici “rossi” di volersi sostituire ai politici, di fare politica attraverso i tribunali, di perseguitare i rappresentanti del governo. E la gente, indignata, scendeva in piazza, circondando i palazzi di giustizia con i famosi girotondi. Ah, no: questa scena, per ora, non è tornata. Ma chissà, forse ci arriveremo. Per il resto, è come se il tempo si fosse fermato. E allora come oggi, viene da chiedersi: ma di cosa stiamo parlando davvero?

Con il caso Salvini-Open Arms archiviato (e il politico di turno assolto), sono due i fatti che alimentano questo presunto “scontro” tra giudici e governo: il caso Almasri e la questione dei migranti trattenuti in Albania. Vediamoli più da vicino.

Nel caso Almasri, dopo una denuncia di un avvocato che ipotizzava reati di favoreggiamento e peculato, il procuratore Lo Voi ha passato il tutto al Tribunale dei ministri senza nemmeno aprire un’indagine. Se i giudici decideranno che ci sono gli estremi per procedere, si andrà avanti. E i coinvolti – il presidente del Consiglio, i ministri Nordio e Piantedosi, il sottosegretario Mantovano – avranno tutti gli strumenti che lo Stato di diritto garantisce per difendersi. Tra l’altro, hanno scelto un’avvocata d’eccezione, Giulia Bongiorno, che ha già fatto assolvere Salvini. Cosa temono, allora? Se invece il Tribunale dei ministri archivia il caso, sarà stato solo tanto rumore per nulla.

Passiamo alla questione Albania. Prima il Tribunale di Roma e poi la Corte d’Appello hanno bocciato i provvedimenti per trattenere i migranti nei centri albanesi. Anche qui, i giudici non hanno agito di propria iniziativa. E se le loro decisioni fossero sbagliate, si possono sempre impugnare davanti alle autorità competenti. Ma c’è un dettaglio che fa accapponare la pelle: il governo ha provato a spostare la competenza da un tribunale a un altro, come se si potesse cambiare giudice solo perché non piace la sentenza. Una mossa degna di un regime autoritario, non di uno Stato di diritto.

La verità è che oggi, come trent’anni fa, non c’è nessuno “scontro” tra magistratura e politica. C’è solo un attacco scomposto e aggressivo di una parte della politica contro i giudici. E questo dovrebbe farci preoccupare, eccome. Perché il fatto che anche chi detiene il potere sia sottoposto alle stesse leggi di noi comuni cittadini è una garanzia fondamentale. È ciò che ci protegge dagli abusi di chi comanda.

E attenzione: le due parti non sono affatto sullo stesso piano. I politici fanno le leggi, i magistrati le applicano (interpretandole, altrimenti non servirebbero). Se i politici non vogliono controlli su chi governa, allora dovrebbero approvare una legge che dica: “Chi viene eletto è al di sopra della legge”. Ma finché questa legge non esiste, dovranno fare i conti con una semplice verità: non hanno le mani libere. Perché viviamo in uno Stato di diritto e questo è un bene per tutti noi.

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