Israele ha ripreso i bombardamenti sulla Striscia con una violenza senza precedenti, giustificata dal mancato rilascio degli ostaggi da parte di Hamas. Centinaia di morti nella prima notte, tra cui donne e bambini, mentre ospedali e case crollano sotto i missili. Netanyahu usa la guerra per rafforzare il suo potere, mentre gli Stati Uniti danno il via libera all’offensiva.
La tregua era solo un’illusione per chi voleva crederci. A Gaza, non c’è mai stata pace: solo un cessate il fuoco precario, un’agonia sospesa fatta di assedio, fame e il suono incessante dei droni nel cielo. Ora, nemmeno quell’apparenza esiste più. L’aviazione israeliana ha ripreso i bombardamenti con la brutalità promessa da Netanyahu. Più di 350 morti nella prima notte, tra cui decine di bambini, mentre i medici lottano in ospedali che ormai sono solo macerie e disperazione.
Il premier israeliano ha deciso che la guerra è l’unica opzione. Serve a schiacciare le opposizioni interne, a negoziare da una posizione di forza con gli Stati Uniti, a ridisegnare il futuro di Gaza con il linguaggio delle bombe. Il governo di Tel Aviv giustifica la ripresa dell’offensiva con il rifiuto di Hamas di liberare gli ostaggi, mentre la punizione collettiva diventa la dottrina ufficiale: colpire tutti, senza distinzioni, per dimostrare che Israele non tollera resistenze.
Il piano degli Stati Uniti, noto come “piano Witkoff”, prevedeva un’estensione temporanea del cessate il fuoco, in cambio del rilascio di parte degli ostaggi israeliani. Nessuna garanzia di una tregua definitiva, solo una proposta che Hamas ha respinto, sapendo che avrebbe significato concedere tempo a Israele per rafforzare la sua occupazione della Striscia. Di fronte a questo rifiuto, Netanyahu ha ordinato l’attacco: migliaia di tonnellate di esplosivo sono state sganciate sulle città di Gaza, Rafah e Khan Yunis. La vita di milioni di civili è di nuovo sotto assedio.
Una guerra che serve a Netanyahu – Israele non vuole fermarsi. Vuole evitare di perdere il controllo militare su Gaza, continuando a occupare zone strategiche e usando la guerra come arma politica. Netanyahu, sempre più debole in patria, trasforma il conflitto in un’ancora di salvezza personale: mentre il suo governo vacilla, mentre le critiche interne aumentano, un’escalation militare gli permette di guadagnare tempo e consenso.
Nel frattempo, la comunità internazionale guarda altrove. Gli Stati Uniti hanno dato il via libera ai bombardamenti. L’Europa balbetta qualche dichiarazione di condanna, mentre il massacro si consuma sotto gli occhi del mondo. Le voci che si levano in difesa della popolazione civile vengono soffocate dal mantra della sicurezza di Israele. Ma quale sicurezza può esistere in un inferno di macerie e sangue?
Hamas accusa Netanyahu di sacrificare i suoi stessi ostaggi per giustificare l’offensiva. Uno di loro sarebbe già morto sotto le bombe, mentre molti altri risultano feriti. Ma per il governo israeliano, questo è solo un effetto collaterale della sua strategia militare.
Gaza isolata e al buio – Non solo bombe. Israele ha bloccato gli aiuti umanitari e interrotto completamente la fornitura di energia elettrica a Gaza, spingendo oltre un milione di persone verso una catastrofe umanitaria. L’obiettivo è chiaro: piegare Hamas con ogni mezzo, anche a costo di massacrare migliaia di civili.
Nel frattempo, il mondo si divide tra chi giustifica, chi ignora e chi condanna senza conseguenze. Gaza brucia e chi avrebbe il potere di fermare questo massacro sceglie di voltarsi dall’altra parte.
La tregua è finita. Il massacro continua.