Fahrenheit 11/9: su La7 un film/documentario che ci spiega come l’America è arrivata dove è arrivata

Dai crimini ambientali di Flint alle proteste degli insegnanti, fino alla mobilitazione degli studenti: il documentario ‘Fahrenheit 11/9’ svela le contraddizioni di un Paese in bilico tra declino e riscatto.

Per chi non lo conoscesse, Michael Moore è il giullare d’America, un signore dall’aspetto grassoccio e bonario che ha vinto tutti i premi che contano, Oscar, Palma d’oro, Emmy, perché sa fare bene il suo lavoro, denunciare le contraddizioni del sogno americano che per moltissimi americani è un incubo. E lo fa con film/documentari divertenti, pieni di boutades e di risate amarissime, barcollando come l’orso Yoghi, le sneakers e il cappellino con la visiera, mentre piazza il microfono in faccia ai potenti americani, che sbiancano palesemente in volto quando lo vedono arrivare, e balbettano teneramente come Bubu in risposta alle sue domande dirette e incalzanti. Naturalmente, è il nemico giurato della destra americana, che lo investe con ondate periodiche di fango, basate principalmente su un peccato originale, quello di guadagnare sui suoi documentari, come se essere di sinistra significasse essere francescani e lavorare gratis.

Ieri sera è andato in onda su La7 un suo film/documentario agghiacciante “Fahrenheit 11/9”, che chiaramente richiama il suo documentario più premiato e famoso, “Fahrenheit 9/11” sulle Torri Gemelle e la Presidenza di Bush figlio. Dopo aver affrontato il tema delle iniquità del sistema sanitario americano in “Sicko”, della proliferazione delle armi in “Bowling a Columbine” e degli interessi personali che hanno ispirato la politica estera americana in “Fahrenheit 9/11”, Moore va alla sostanza del problema in “Fahrenheit 11/9”, la malattia cronica che da anni affligge la democrazia più potente e prestigiosa del mondo e che forse la sta portando alla morte.

Il documentario parte da Flint, la città natale di Moore, nota per essere la più povera d’America, un groviglio di ferraglia e di catapecchie residuate dalla deindustrializzazione, nel cuore della Rust Belt americana, dove chi poteva è andato via, lasciando dietro una vasta popolazione di colore, con gli adulti a vagare inebetiti dal fentanyl e i bambini lasciati a scorrazzare per strada, come nella più misera delle periferie del più sottosviluppato dei Paesi del mondo. Flint è stata teatro del più vergognoso dei crimini perpetrati da uno Stato sui suoi cittadini che si sia mai visto in un Paese “civile”, l’inquinamento doloso dell’acqua pubblica che ha avvelenato con il piombo il sangue di una generazione di bambini neri. E Moore ce lo mostra con la incredulità e la partecipazione emotiva di chi sta parlando della sua terra.

La scena cambia e arriviamo in West Virginia, dove assistiamo alla lotta senza quartiere tra il Governatore e gli insegnanti delle scuole pubbliche. In Italia, ci lamentiamo giustamente dei salari bassi degli insegnanti, ma in America gli insegnanti di scuola pubblica vivono spesso sotto la soglia di povertà. E assistiamo a questa protesta eroica e vittoriosa, che piano piano è dilagata in tutta la Nazione. Moore ci porta, poi, nelle stanze dei giovanissimi leader della enorme rivolta degli studenti che ha infiammato l’America dopo la strage di Parkland, con bambini undicenni che scappano dalla classe, ignorando le minacce del Preside, e si uniscono alla protesta, per dire basta alla proliferazione di armi nelle scuole.

E poi Moore arriva ad oggi, a Trump, anche se sta parlando del primo Trump e non del Trump del secondo mandato, ancora più agghiacciante di quello già spaventoso di cui parla Moore. E ci arriva passando dalla vergogna di Obama che arriva a Flint e quasi deride la popolazione locale avvelenata dallo Stato, e che anzi ha la splendida idea di utilizzare la città come teatro delle esercitazioni antiguerriglia per l’esercito.  Passando per i brogli con cui i democratici gestiscono le primarie a tutti i livelli, per scegliere i candidati più graditi alla leadership. Passando per la malafede con cui il partito democratico americano, a partire da Clinton, ha gradualmente abbandonato i suoi valori di solidarietà ed equità sociale per diventare la copia più gentile del partito repubblicano, lasciando i deboli del Paese privi di ogni rappresentanza politica. Passando dalla connivenza della stampa americana progressista, che si è appiattita sul nuovo posizionamento del partito democratico americano, che in Italia definiremmo tranquillamente di centrodestra.

Ma in questo scenario buissimo, Moore ci mostra lo splendore e la grandezza della società civile americana, in cui continuano a germogliare i semi della democrazia che si mobilita in difesa della verità e della giustizia, come nel più classico dei film politici di Hollywood. Riprendete questo film/documentario su RivediLa7, se non lo avete ancora visto, e vi ritroverete le mille facce dell’America, forse chiedendovi, come ho fatto io, dove sia finita quella progressista e movimentista.

Tags :

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
Telegram

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ultimi articoli

Altri articoli

Politica

Televisione e potere

Dallo schermo al governo: come la televisione ha trasformato la politica e generato nuovi leader