Pace e bene

La pace non può essere solo assenza di guerra o imposizione della forza, ma deve essere accompagnata da libertà e giustizia per essere autentica e duratura. Dalla “Pax Romana” alle guerre contemporanee, la storia dimostra che la vera pace non si ottiene con la sottomissione, ma con il rispetto dei diritti fondamentali.

“Pax!” era un’esclamazione latina molto comune. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare non era un’invocazione benevola o un augurio ma equivaleva al nostro “Basta! Smettetela”, insomma un rimprovero per riportare ordine tra bambini troppo chiassosi o in una discussione eccessivamente vivace. Una pace sì ma imposta con un rimprovero. D’altronde per i Romani la Pace iniziava soltanto quando avevano sottomesso un territorio, una popolazione, e finalmente nuovi tributi potevano arricchire le casse di Cesare.

Una corrente di pensiero piuttosto robusta ha preso forza in questi giorni, soprattutto dopo lo show di Trump e di Vice con il presidente Zelensky nello studio ovale della Casa Bianca a favore di telecamere: il Presidente americano sarebbe l’unico in grado, forte del suo particolare rapporto con l’omologo russo Putin, a portare finalmente pace nel martoriato territorio ucraino. Ma quale pace? Sarebbe pace una resa incondizionata del Paese aggredito, ottenuta col ricatto di tagliare qualsiasi aiuto economico per il presente e per il futuro? La parola pace, da sola, è un guscio vuoto che può essere riempito di contenuti diversi, anche avvelenati.

Nel 1982 Israele, per fare un esempio calzante con la più stretta e drammatica attualità, invase il sud Libano meridionale con lo scopo di azzerare le milizie dell’O.L.P. e chiamò quella operazione “Pace in Galilea”. Ne seguirono tre anni di guerra violenta, di massacri in campi profughi, e sorse un senso di rivalsa nelle popolazioni palestinesi che è vivo ancora oggi, riacutizzatosi nel corso dei decenni successi con le varie Intifada. Può definirsi quella una pace uguale a quella che predicava un altro Galileo, vissuto due millenni prima, per il quale gli “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio”? E’ evidente che una pace imposta soltanto con la forza delle armi, con la prepotenza dei mitra (ricordiamo la pax mafiosa di cui proprio in Italia si è spesso discusso) è una mera finzione, un ologramma destinato inevitabilmente a dissolversi.

E dunque la parola pace, da sola, non è sufficiente. “Pace e bene” salutano i francescani, ripetuto quasi come fosse una parola sola; la pace si lega così al concetto di benessere che è sicuramente innanzitutto spirituale, ma non solo. Quando in una casa riecheggia il motto francescano è evidente che l’augurio riguarda anche un benessere in senso più terreno, una condizione di tranquillità nelle cose della vita che sole possono garantire la serenità di una famiglia. Per un intero popolo, per uno Stato, raggiungere la condizione di pace e bene(ssere) passa necessariamente attraverso altri concetti che devono accompagnare la pace. Una pace giusta non può esser una pace senza libertà, condizione indispensabile affinché uno Stato possa creare le condizioni per il progresso individuale e collettivo. Non c’è pace sotto il giogo dell’oppressione, il senso di rivincita prima o poi esploderà. E non c’è pace senza giustizia, intesa sia come insieme di regole formali che ripristino l’ordine giuridico travolto dalla guerra, sia come condizione di sostanziale uguaglianza dei cittadini come magistralmente descritto proprio dai nostri costituenti all’art.3 della Costituzione.

Quando scenderemo in piazza nei prossimi giorni, nel nome di un nuovo orgoglio europeo di fronte alla protervia di dittature e di democrazie che stanno pericolosamente scivolando sul crinale delle democrature, gridiamo la nostra volontà di pace (perché anche la pace va gridata) ma accompagniamo il nostro urlo con l’invocazione forte di libertà e di giustizia. In una sola parola urliamo al mondo “PACE E BENE”!

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