Alla conferenza di Monaco, il vicepresidente americano sfida l’ordine globale, mette in discussione l’alleanza transatlantica e accende il dibattito sul ruolo dell’Europa nel nuovo equilibrio mondiale.
J.D. Vance, un nome che in molti stanno imparando a conoscere. Un uomo dalle mille sfaccettature: cresciuto tra le difficoltà delle Appalachian Mountains, laureato a Yale, ex militare con esperienza in Iraq e ora figura di spicco nel mondo del venture capital. Ma soprattutto, una delle voci più rilevanti della nuova destra americana.
Alla recente conferenza strategica di Monaco, Vance ha fatto parlare di sé con un intervento che ha scosso profondamente l’Europa. Ha toccato temi caldi, mettendo in discussione l’ordine globale, il futuro dell’alleanza transatlantica e il ruolo degli Stati Uniti nella sicurezza europea. Il suo discorso ha gettato luce su una possibile trasformazione dell’Occidente come lo conosciamo.
In questo articolo esploriamo le sue dichiarazioni, il loro impatto politico e le possibili conseguenze per l’Europa e il mondo intero. Un’analisi di un personaggio che potrebbe giocare un ruolo chiave nel futuro del trumpismo e nella ridefinizione degli equilibri internazionali.
Ecco J.D. Vance, il “bifolco” che ce l’ha fatta. Cresciuto nella povertà delle Appalachian Mountains, si è laureato a Yale. Ex militare con esperienza in Iraq, diventato pezzo grosso del venture capital. Tra i primi a tessere legami tra la destra populista e il mondo di Elon Musk. Oggi, a quarant’anni, è il volto nuovo del trumpismo.
A Monaco di Baviera il vicepresidente ha tolto la maschera. Chi ancora non aveva inquadrato il personaggio ha avuto modo di capirlo alla conferenza strategica in Germania. “Shock e spavento” – un’espressione nata in ambito militare – descrive bene l’effetto della sua comparsa sul Vecchio Continente. Fine della speciale relazione transatlantica? L’alleanza che ha segnato la storia dal 1947 ad oggi è destinata a sgretolarsi?
Ne ha fatta di strada il figlio della “white trash”, la cosiddetta spazzatura bianca, che nel suo libro “Elegia americana” ha raccontato una realtà familiare degradata, la disperazione di un ceto operaio annientato dalla globalizzazione, un mondo di emarginati che non gode di alcuna tutela speciale. Ed è stato proprio lui a spiegare all’establishment europeo quanto lontano possa spingersi la Casa Bianca nel ridisegnare l’ordine mondiale.
Vance non ha avuto peli sulla lingua. Ha attaccato i governi alleati, ha sdoganato l’estrema destra, e lo ha fatto in Germania, a pochi giorni dalle elezioni legislative. Altro che Putin e Xi Jinping: il vero “nemico interno”, ha detto, è l’ideologia del politicamente corretto, quella che imbavaglia il dissenso, zittisce gli antiabortisti e censura partiti come l’Afd tedesca. “Se avete paura dei vostri elettori – ha tuonato – l’America non può salvarvi”. Poi ha puntato il dito sull’immigrazione: “I cittadini europei non hanno mai votato per aprire le frontiere a milioni di immigrati”. Per quanto riguarda la sicurezza europea, Washington vuole trovare un accordo tra Russia e Ucraina, ma è ora che l’Europa impari a difendersi da sola. E su Putin, sorpresa: Vance non ha ripetuto le parole di Trump. Ha minacciato nuove sanzioni e perfino un’intensificazione della pressione militare, a meno che Mosca non si dimostri “ragionevole”.

La conferenza strategica di Monaco è stata spesso teatro di annunci epocali. Nel 2007 Putin lanciò qui la sua sfida all’Occidente. Pochi lo presero sul serio. Poi arrivarono la guerra in Georgia nel 2008, l’invasione della Crimea nel 2014, e quella dell’Ucraina nel 2022. Ignorare Vance oggi potrebbe essere un errore fatale. La “rivoluzione anti-woke” americana sta cercando di attecchire anche in Europa. Ma quale nuovo assetto globale ci aspetta?
Un’ipotesi? Una nuova Yalta. Il riferimento è alla conferenza del 1945 in cui Roosevelt, Churchill e Stalin si spartirono il mondo. Trump potrebbe essere pronto a concedere più libertà d’azione a Russia e Cina nei loro rispettivi cortili di casa, ridimensionare le alleanze con Europa e Giappone, in cambio di un commercio mondiale più vantaggioso per gli Stati Uniti e un maggiore controllo sull’emisfero occidentale. L’idea stessa di un Occidente unito da valori comuni non rientra nel suo orizzonte politico. Eppure, Vance ha invocato proprio quell’eredità storica quando ha accusato i governi europei di calpestare la libertà d’espressione.
Ma smantellare l’alleanza atlantica, costruita da Roosevelt e Truman e mantenuta da tutti i presidenti successivi, democratici o repubblicani, ha il suo prezzo. Le due sponde dell’Atlantico sono legate da interessi materiali enormi, compresi quei colossi economici che oggi molti europei bollano come “oligarchi” allineati con Washington. Voltare le spalle all’Europa contraddice perfino le ambizioni di Vance e Musk, che sognano di esportare il trumpismo con lo slogan “Make Europe Great Again”.
Forse, però, questa non è la fine di tutto, ma solo l’ennesimo litigio tra partner storici. Ce ne sono stati tanti. Dal generale De Gaulle che negli anni ’60 sbatté la porta della NATO, fino alla spaccatura tra Francia, Germania e George W. Bush sull’Iraq nel 2003. Fu allora che Donald Rumsfeld rese popolare una frase diventata iconica: “Gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere”. Distinse tra la “Nuova Europa” dell’Est, schierata con Washington, e la “Vecchia Europa” legata ai suoi ricordi. Oggi la frattura potrebbe riguardare il Medio Oriente: Netanyahu potrebbe leggere il trumpismo come un via libera a un attacco all’Iran.

Con il suo discorso a Monaco, Vance ha scatenato il panico. Ma ha anche toccato un nervo scoperto. I tedeschi andranno al voto il 23 e, secondo i sondaggi, non stanno punendo il leader democristiano Merz per aver accettato i voti dell’estrema destra sulle politiche migratorie. L’immigrazione ha spostato l’Europa a destra molto prima che Trump entrasse in politica. La guerra dei dazi coglie l’Europa in un momento di fragilità: economicamente, non regge il passo con gli Stati Uniti ed è più protezionista di quanto voglia ammettere. Lo ha ricordato persino Mario Draghi. E poi c’è la questione sicurezza: Zelensky chiede un esercito europeo con 200mila uomini da schierare subito in Ucraina per fermare la Russia. Ma la verità è che questo esercito non esiste.
Se Vance ha ragione su un punto, è che l’Europa non può più permettersi di rimanere passiva. La crisi geopolitica globale è un banco di prova. Saprà il Vecchio Continente svegliarsi dal suo torpore e rispondere con azioni concrete? Se l’elettroshock di Vance porterà a un’Europa più forte e consapevole, allora questa crisi non sarà solo un pericolo, ma un’opportunità irripetibile per riscrivere il suo futuro.